Come funziona un carburatore? Quali principi dietro la carburazione? Dietrologia per appassionati.
Aggiornamento: 15 dic 2020
Da tempo soppiantati dall’iniezione elettronica, i carburatori sono stati croce e delizia degli appassionati e dei tecnici di settore da sempre. Oggi cerchiamo di capire il perché, affrontando uno spinoso problema: la pulizia.
Nell’immaginario collettivo, soprattutto dei più giovani, i carburatori sono semplicemente “ciò a cui attribuire un problema di alimentazione”, e obiettivamente non è un’analisi scorretta nella stragrande maggioranza dei casi. Ma perché i carburatori hanno questa grigia nomea? Perché erano, o meglio; tutt’ora sono, una delle parti meccaniche più difficili in assoluto da gestire in un motore, che sia 2 o 4 tempi. Il funzionamento di un carburatore è relativamente semplice: sfruttando il principio dell’effetto Venturi, attraverso una valvola comandata a mano dai cavi del comando dell’acceleratore ed una membrana a depressione, crea un vortice depressivo che aspira dalla vaschetta di contenimento la benzina (o miscela nel caso di un 2 tempi) attraverso dei fori calibrati (in gergo “getti” o “gigleurs”) che portano alla camera di scoppio la miscelazione aria/ossigeno necessaria per la combustione.
Questo processo richiede però una precisione millesimale, poiché basta veramente pochissimo per sbagliare il rapporto stechiometrico.
Il rapporto stechiometrico, per chi non lo sapesse, è il rapporto perfetto tra combustibile (benzina, gasolio, alcool, idrogeno…) e comburente (ossigeno), e nel caso della benzina si attesta su 1 a 14,7.
Ogni variazione rispetto a questo rapporto è da considerarsi imperfetta, ma non per questo inefficace.
Grassa? Magra? Nocciola!
Analizziamo ora alcune casistiche, per darci un quadro un po’ più completo.
Se la quantità di aria sarà superiore rispetto alla quantità di benzina, avremo una miscela A/F (Air/Fuel) magra; viceversa quindi si dirà grassa quando avremo la situazione contraria. Tra i miei predecessori (in senso professionale, non famigliare), meccanici d’altri tempi in tutti i sensi, alcuni si specializzavano proprio nell’arte della messa a punto dei carburatori, e venivano perciò definiti proprio come “carburatoristi”. Questi erano capaci di capire dal solo modo in cui un motore girava se si trattava di miscelazione grassa o magra. Io stesso, ormai molti anni fa, ricordo una tappa di Mondiale Motocross svoltosi sul circuito della mia Mantova, in cui un meccanico, sentendo sgasare il suo pilota su un salto, affermò senza mezzi termini che: "qualifiche o no era da fermare la moto, perché così magra avrebbe bucato”. Ero troppo inesperto allora per capire che non si stava riferendo alle gomme, bensì alla possibilità di bucare il pistone…
Crescendo, ho imparato a sentire anche io certe cose, ma dal momento che due controlli sono sempre meglio di uno, e tre sarebbero meglio ancora, ho imparato ad applicare vecchi trucchi e strategie.
Se la vostra moto/auto non dispone di sistemi antidetonanti, e/o di acquisizione dati, un ottimo riscontro per valutare la carburazione è l’analisi del colore della candela. Sulle moto da competizione 2T di una volta, il sistema era semplice: partenza e dentro due o tre marce a tutto gas, poi spegnere il motore con l’interruttore di massa. La lettura del colore della candela avrebbe dato riscontro della condizione di operatività reale del motore in regime di massimo sforzo. Una candela nera e fuligginosa significa carburazione troppo grassa, una candela bianca e secca, al contrario, significa carburazione troppo magra. Esistono poi varianti interessanti (nel senso che ti fanno diventare matto a cercare l’equilibrio) del tipo: nera e fuligginosa sull’elettrodo, e secca ai bordi, o viceversa; o ancora: secca da un lato, fuligginosa dall’altro… Diciamo che queste condizioni aiutano anche a capire se stai bruciando una valvola, o se hai anticipato o posticipato troppo il motore, ma rischiamo di andare fuori tema… Ma quindi qual è la condizione in cui capite che la carburazione è ok? Candela color nocciola.
A me, nella mia non brevissima esperienza, è capitato solo due volte di vederlo.
Tuttavia, come dicevo, benché personalmente lo ritenga il più sincero, quello della lettura della candela non è il solo metodo. A volte ce ne sono altri più veloci, per quanto potenzialmente meno precisi.
Un buon esempio è osservare le temperature dei collettori di scarico. Anche qui ci sarebbe da aprire un capitolo molto ampio, ma sintetizzandolo al massimo potremmo descriverlo così:
A/F magra : temperature molto alte, silenziatore bianco, odore quasi nullo di scarico.
A/F grassa: temperature basse presso la testata, più alte andando al silenziatore. Gas in uscita più visibili, neri, silenziatore fuligginoso, odore di benzina incombusta.
A/F corretta: temperatura coerente tra testata e collettori, scarico pulito senza sbancamenti o fuliggine.
Ovviamente questo schema non è il Credo, ma un’indicazione abbastanza chiara, per quanto approssimativa, che può servirvi per rendere l’idea.
Queste condizioni sono quelle che di base aiutano i meno sofisticati professionisti di settore. Sì, perché ad oggi il mercato offre svariate soluzioni per l’analisi dei gas, che portano ad un minimo coefficiente d’errore nella valutazione. Poi, ovviamente, “non è mai colpa dell’attrezzo, ma delle mani che lo muovono” come dice il mio Maestro, e quindi una analisi potenzialmente perfetta non è detto che porti per forza di cose ad una risoluzione dei problemi altrettanto facile e funzionale.
Non possiamo dimenticarci infatti che se parliamo di carburatori, stiamo parlando di veicoli che sono stati progettati nel secolo scorso, e di conseguenza sono diverse le cose che sono cambiate… una su tutte? I carburanti.
All’epoca dei grandi eroi del motorsport, esistevano sicuramente trucchetti per alterare le capacità dei combustibili, esattamente come oggi, ma per “l’uomo della strada” la necessità era altra. Nessuno a quel tempo si curava un granché di benzine con più o meno ottano, e prima di vedere usualmente al distributore la pompa della Super…beh, di kg di A/F i carburatori ne hanno mangiati un bel po’! Non scenderò oggi nei dettagli delle benzine (Se invece volete approfondire, leggete qui https://www.sfidadabar.it/post/a-cosa-serve-la-benzina-da-corsa) ma mi limiterò ad osservare un punto su tutti gli altri: la presenza del piombo.
I motori di un tempo, infatti, funzionavano con benzine a base di piombo, diventato poi illegale, e sostituito negli anni con benzine sempre più raffinate. Ovviamente però, queste raffinazioni non sempre hanno portato benefici alle meccaniche… Infatti oggi, a differenza di un tempo, bastano poche settimane per far invecchiare la benzina, perdendo la parte nobile, quella più volatile, e lasciando quindi nei nostri serbatoi la parte spuria. Il problema, come già accennato, è pressoché inesistente sui veicoli moderni dotati di iniezione e sistemi antidetonanti, ma sui carburatori è veramente una spada di Damocle. Infatti l’ossidazione che si viene a creare all’interno del carburatore occlude quei microscopici passaggi di cui vi parlavo prima, mandando in malora il rapporto stechiometrico quando va bene, o rendendo pressoché inutilizzabile il mezzo nelle altre circostanze.
Ad oggi i veri carburatoristi si contano sulle dita di una mano, un po’ perché nella meccanica è quasi impossibile trovare chi ti insegni il mestiere senza la paura che un giorno tu glielo possa rubare (e anche qui si potrebbe scrivere un libro, ma preferisco non esprimermi), ed un po' perché sono sempre meno gli specialisti veri e competenti che potrebbero insegnare a qualcuno, se ci fosse qualcuno disposto ad imparare… La cosa che più si avvicina ai giorni nostri ad un carburatorista è il pompista, perché è indiscutibilmente la persona con la migliore preparazione su materiali e strumenti idonei alla pulizia di componenti delicati e talvolta non rintracciabili per una eventuale sostituzione. Macchine per la pulizia ad ultrasuoni, liquidi non acidi o comunque a basso impatto su materiali morbidi come l’ottone e le leghe di alluminio semplici adottate nella realizzazione dei carburatori, sono le soluzioni che integrano o si sostituiscono alle sapienti mani di professionisti che con un calisvar erano capaci di ridare vita ad un informe agglomerato di ossidi e ruggine.
Oggi le tecnologie di stampa 3D in leghe metalliche offrono agli appassionati del vintage nuove e brillanti opportunità per il ripristino di particolari altrimenti impossibili da recuperare, costringendo così il loro mezzo ad un pensionamento obbligato. Certo, perderanno l’originalità dello stato di conservazione, ma almeno potranno fare sfoggio dell’innegabile fascino di quel gorgogliare squisitamente meccanico sulle piazze di qualche raduno o nelle più prestigiose competizioni dedicate ai mezzi d’epoca.
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